AFRICA: DAL VENTRE DELLE DONNE


«Il mio ventre appartiene al mio padrone».

Questa affermazione non emerge dalla fiorente narrativa sullo schiavismo nelle Americhe, non è un ricordo torbido dei secoli passati, bensì è ciò che ancora oggi dice una donna schiava della Mauritania. La Repubblica islamica ha ufficialmente abolito la schiavitù nel 1981, ma sono decine di migliaia le schiave “invisibili”, non registrate all’anagrafe, la cui condizione, ancora culturalmente giustificata, incatena anche il frutto del loro ventre: nonostante la società mauritana sia marcatamente patriarcale, chi nasce da una schiava è considerato alla stregua dei cuccioli animali: possesso di chi possiede la madre.

Per comprendere le dinamiche che perpetuano questa forma atavica di schiavitù e conoscere le azioni ostinate di chi la contrasta, può essere utile leggere il libro Mai più schiavi.

E in Africa c’è un altro ventre che merita attenzione. Più distante dalla Mauritania, che lambisce nazioni a noi prossime come Marocco e Algeria, ma più connesso alla nostra quotidianità, quello di tante donne del Kivu. La regione orientale della Repubblica democratica del Congo è fonte di minerali indispensabili alla tecnologia che pervade le nostre giornate: telefoni cellulari, computer, tablet e batterie di attrezzature mediche.

Nel Kivu le multinazionali coltivano interessi strategici e da decenni gruppi armati si contendono terre e risorse, infliggendo terribili sofferenze alla popolazione. Le donne, ridotte a schiave sessuali, sopportano traumi fisici e psicologici spesso invalidanti.

Eppure a Bukavu il ginecologo Jeff Kakisingi, coadiuvato dall’assistente sociale Julienne Mugoli, ha piantato due grandi tende dove le vittime di stupro riprendono vita, insieme al frutto della violenza subita. Lo fanno raccontando e condividendo il loro dolore «per non morire dentro».

Le loro storie sono raccolte in un libro piccolo e prezioso: Nel ventre di una donna.

Scritto a più mani, grazie all’ Associazione Colibrì, lo scorso maggio era al Salone del Libro di Torino, dove il ventre delle donne dell’Africa ha avuto parola.